Per festeggiare i dieci anni insieme, nonché gli otto di matrimonio, non ci accontentiamo di uscire a cena, vogliamo provare un’esperienza particolare da ricordare. La nostra scelta cade su questo ristorante che mai uno si aspetterebbe di trovare in un paese sperduto nella bassa modenese come Concordia sulla Secchia, là dove la pianura scivola verso il grande fiume. Il navigatore non conosce via della Pace e noi ci lasciamo trarre in inganno una volta raggiunto un enorme palazzo, decorato da colonne, che supponiamo possa essere il teatro, al fianco del quale dovrebbe essere il ristorante; in realtà ci accorgiamo solo dopo aver chiamato il ristorante stesso per un aiutino che quello che abbiamo di fronte non è il teatro ma il municipio! Seguendo le indicazioni della proprietaria, un attimo titubanti perché il paese pare finire e prima di raggiungere l’argine di fronte al quale c’è il teatro si deve attraversare una zona residenziale che non dà l’idea di trovarsi ancora in centro “città ”, arriviamo a destinazione.
L’ingresso del ristorante è tappezzato di adesivi di numerose guide enogastronomiche: Gambero Rosso, Consorzio Modena a Tavola, la Gola in viaggio di Alice. Per accedere al ristorante, posto al primo piano del palazzo, bisogna suonare un campanello e fare due rampe di scale, per i disabili esiste una piattaforma motorizzata a fianco del corrimano della scala.
Veniamo accolti da una signora assai gentile che poi verremo a sapere essere la moglie del cuoco. Ci prende i cappotti e ci fa accomodare ad un ampio tavolo tondo, l’unico con la lanterna accesa (avevamo prenotato in mattinata) con delle poltroncine di stoffa rigata con comodi braccioli. L’ambiente è molto accogliente, le pareti a spatola hanno un colore con riflessi quasi dorati che rendono l’atmosfera calda e luminosa pur essendo le luci soffuse. Un paio di angoliere antiche, lunghe tende alle piccole finestre, il bancone del bar con macchina del caffè e vetrinette con esposizione di bicchieri completano la sala. Una scala a fianco della zona bar conduce ad un soppalco, con lunghe travi a vista. Tovagliato che tocca fino a terra, bei calici formato fuori misura, piattino per il pane, una composizione floreale, una lanterna con candelina e alcune perle di vetro iridescenti (quelle note come occhi di gatto) abbelliscono l’apparecchiatura. Viene portata subito la carta delle acque, in prevalenza di provenienza nord europea. Noi optiamo subito per un acqua naturale gallese dal nome impronunciabile, la Llanllyr, ed in seguito per una elegante bottiglia cilindrica di acqua Voss, un’acqua artesiana addizionata di anidride carbonica e bicarbonato di sodio, di modo che risulti leggermente frizzante, di provenienza norvegese (ogni acqua verrà degustata in un bicchiere a sé). Mentre consultiamo i menù (il mio per signore senza indicazione dei prezzi) vengono portati in tavola dei piccoli panini aromatizzati, tiepidi, una bontà , e dei grissinoni fatti a mano, lunghi almeno una quarantina di centimetri, tendenti all’insipido, ma buoni. Devo dire che tutte le pietanze erano cucinate con parsimonia di sale e questo ha contribuito ancor più ad esaltare il sapore del mare e a conferma che gli ingredienti erano di prima qualità e freschissimi.
Un po’ indecisi sull’offerta in menù alla fine optiamo per due menù di pesce fantasie dello chef, in cui è lo chef stesso a proporre le pietanze, a sua discrezione, anche se è richiesto di segnalare allergie o alimenti non graditi. Con l’entrée offerta, una alice avvolta in pasta fillo e fritta, servita bollente su un letto di insalata verde e rossa condita con aceto balsamico tradizionale, viene versato un calice di Pinot nero 100% delle tenute Antinori. Poiché mio marito non beve e il vino offerto era per me più che sufficiente non ne ordino altro. Le portate si susseguono con una tempistica a mio parere perfetta, mai più di dieci minuti senza un piatto in tavola. Il menù alla fine risulta composto da quattro antipasti, un primo, un secondo, un dolce al cucchiaio e assaggi di piccola pasticceria.
Il primo antipasto è composto da crudità . Io non le avevo mai mangiate, ma non ho avuto dubbi sul fatto che fosse il posto giusto per il mio battesimo del crudo, senza timore di mal di pancia o simili all’indomani!
Su un bel piatto rettangolare di vetro trasparente sono serviti una mazzancolla aperta in due, un gambero, una cappasanta, delle perle di caviale rosa, del tonno rosso, del salmone e della ricciola accompagnati da scorzette di arancia, una specie di marmellata agrodolce di cipolla e dei fili sottili di un ingrediente che subito non ho capito cosa fosse, pur apprezzando molto il suo gusto piccante tendente al limone (ripensandoci a casa non ho avuto dubbi sul fatto che fosse radice di zenzero, forse caramellata? candita?). Alcuni pesci erano conditi con olio e pepe, altri presentati al naturale, fatto sta che l’abbinamento con le salse, la varietà dei sapori e la novità hanno fatto si che fosse il piatto che più ho apprezzato in tutta la serata. Segue una noce di cappasanta americana alla plancia (alta circa 3-4 cm) su letto di crema di topinambure cosparsa di scaglie di tartufo bianco, piatto servito tiepido. Se prima non avevo alta considerazione del tartufo stasera mi sono ricreduta, e non ho avuto difficoltà digestive causa sua, come invece mi era capitato altre volte. La crema di topinambur non ricorda assolutamente il classico purè, nemmeno nel colore che era tendente al nocciola. I tre ingredienti del piatto andavano assaporati assieme, e solo così esprimevano al meglio le loro caratteristiche di sapori complementari fra loro. Ci è piaciuto moltissimo. Terzo antipasto gamberoni, appena appena cotti, con puntine di salsa maionese casalinga, maionese senapata, salsa tipo rossa per bolliti e tortino di riso Venere con verdure, se non ricordo male sormontato da alcune fettine di topinambur fritto. Buoni, anche se io non amo particolarmente i crostacei. L’ultimo antipasto è quello che ci è piaciuto di meno, salmone selvaggio caramellato su una crema di carote, coperto da una bella chioma di fili di porro fritti. A mio gusto la crema di carote era troppo dolciastra, anche se si abbinava con il pesce caramellato. Una cosa che ho apprezzato è che abbiamo mangiato in piatti sempre diversi, diversi per forma, per concavità , per materia e per colore.
Dopo una pausa leggermente più lunga arrivano due piatti di gnocchetti di patate, tipo chicche, con gamberetti di Sicilia. Un piatto molto cremoso e delicato.
Come secondo filetto di San Pietro su tortino di cipolla di Tropea servito con una giardiniera presentata in grossi pezzi: un ciuffo di cavolfiore, un pezzo di carota e alcuni pezzetti di peperone rosso (questo almeno nel mio piatto). Il San Pietro è un pesce che a mio parere, essendo di fondale, sa un po’ di pantano, il tortino di cipolla era fin troppo dolce e nel complesso è il piatto che mi è piaciuto meno, pur essendo un buon piatto.
Prima del dolce mi concedo una visita alla toilette, piccolina, con asciugamanini di stoffa che una volta utilizzati vanno gettati in un cestino di vimini, pareti a mosaico dai toni ramati e profumo nell’aria: promossi.
Infine arriva il dolce che per sazietà non sono riuscita a finire, perché se le portate non erano abbondanti come quantità sono state comunque così numerose che eravamo già satolli. Servito in una specie di fondina con ampi bordi c’è un’enorme quantità di gelato fior di latte, cremosissimo, con sopra e sotto due rettangoli di pasta sfoglia e tutt’intorno una salsa tiepida di frutti di bosco; la sfoglia superiore era decorata da due lamponi ed una mora veramente giganti, ed era spruzzata di zucchero a velo. Con grande dispiacere sono obbligata a lasciare poco meno di metà gelato e salsa nel piatto, anche perché ho voluto assaggiare la piccola pasticceria servita in un piattino in comune posto a centro tavola. Quadrettino di crostata di pasta frolla freschissima con marmellata non meglio identificata, bignè con crema al limone, piccola meringa ed una specie di bacio di dama, o meglio, così sembrava “ da fuori” poi una volta messo in bocca si è rivelato essere una sorta di ostia sottilissima ripiena di una crema di nocciole molto morbida, con un fortissimo sapore di nocciola, molto particolare.
Per concludere due caffè, serviti con doppia zuccheriera di zucchero bianco e zollette di zucchero di canna, buono, anche se ho bevuto di meglio.
Che dire, siamo stati bene, forse anche perché eravamo gli unici in sala e di conseguenza siamo stati coccolati con attenzione, abbiamo mangiato benissimo e provato abbinamenti non scontati pur rimanendo ancorati ad una cucina in cui un gambero mantiene ancora la sua forma e sapore…per fortuna, aggiungo io!
Conto di 149 euro, spesi volentieri e così suddivisi:
2 menù da 60€ ciascuno
coperti 6€ x 2
caffè 2€ x 2
2 bottiglie d’acqua 13€
Imperdibile!!!
[Reginalulu]
07/01/2012
Auguroni!!!